Strategie di conversazione

Il linguaggio è il mezzo di comunicazione d’elezione degli esseri umani perché ci permette in poco tempo di trasmettere e ricevere informazioni utilizzando degli strumenti comuni a tutti. Lo “impariamo” sin da piccoli, ad ogni oggetto associamo una parola, ad ogni persona un nome e così via. Ma cosa succede quando il nostro cervello subisce dei danni in maniera graduale, ma continua?
Senza entrare nel dettaglio si può meglio comprendere come le lesioni del cervello influiscano inevitabilmente anche sul linguaggio dall’immagine che segue, in cui sono indicate le zone dove sono localizzate le due principali aree cerebrali associate al linguaggio:

E’ chiaro che se queste aree sono lesionate dalla malattia, il linguaggio comincia a risentirne e tutto ciò che abbiamo “imparato” pian piano si perde (si parla di afasia): le parole, i nomi, la grammatica. Nei discorsi aumentano le pause e i silenzi, le parole vengono trasformate e non hanno più il senso che gli attribuiamo noi, le frasi si semplificano ed accorciano, si inizia un discorso che non si finisce, non ci si riesce a far capire e a capire gli altri, occorre imparare a comunicare con altri strumenti a cui non siamo abituati (ad esempio quelli non verbali: postura del corpo, gesti, mimica del volto, tono della voce) ed interpretare e capire ciò che il malato ci vuole comunicare anche attraverso l’empatia. Anche perché sempre più lui si sente escluso dalle conversazioni che si svolgono all’interno della famiglia e questo spesso lo innervosisce. Il linguaggio è collegato a tutte le altre funzioni cognitive, cosa di cui necessita per “funzionare” (ad es. la memoria o l’orientamento temporale) ed è quindi chiaro che le perdite negli altri ambiti hanno una ricaduta ulteriore sul linguaggio.

I disturbi del linguaggio, oltre ad impedire una comunicazione utile, riducono sempre più le conversazioni con i propri cari e quello che spesso lamentano i familiari è che “non si può più chiacchierare, commentare ciò che accade, ricordare insieme il passato”, cosa ancora più vera in questo periodo di quarantena quando l’isolamento sociale non permette lo scambio con gli altri e ci ritroviamo chiusi in casa da soli con il nostro caro malato, senza possibilità di condividere assieme ciò che sta accadendo.
Ma cosa possiamo fare? Possiamo provare a ritardare la perdita di questa funzione stimolandola con attività anche piacevoli. Un semplice esempio che tutti noi abbiamo già sperimentato, magari quando eravamo piccoli, è il famoso gioco “nomi cose città”. E’ un’attività che fa parte della nostra memoria, semplice, ma efficace perché ci permette di ricordare le parole mentre ci divertiamo.
Come si gioca? I partecipanti possono essere 2 o più persone (se in casa ad es. ci sono figli o badanti si possono coinvolgere anche loro, oppure mediante video chiamate).
Ciascuno scrive su un foglio l’elenco delle categorie che si desidera inserire, ad esempio:

Poi si fa un foglio con le lettere dell’alfabeto e a turno i giocatori ad occhi chiusi scelgono una lettera:

A questo punto parte il tempo e ciascun giocatore dovrà rispondere alle categorie utilizzando la lettera uscita. Ad es. se esce la lettera M, seguendo l’immagine delle categorie riportata sopra, si può rispondere in questo modo:
Mario, Muro, Milano, Mucca, Mercante, Mela.
Si contano poi i punti (10 punti se nessuno ha detto la nostra stessa parola altrimenti 5) e vince chi ha fatto più punti.
E’ chiaro che se il nostro caro non riesce bene a svolgere tale attività (dipende molto dalla fase in cui si trova), oltre a poterla semplificare (es. con poche categorie) lo si può aiutare dandogli dei piccoli suggerimenti (es. “la città dove viviamo”).

Questo simpatico e divertente gioco, oltre che semplice, permette al nostro caro di ricordare e ripetere parole allenando così la sua capacità linguistica.

Speriamo di avervi dato un utile e divertente suggerimento per trascorrere insieme al vostro caro un po’ di tempo.